07/09/2022

Tempo di lettura: 5 min

Nessuno è perfetto…ma sarà vero?

Oggi vi facciamo conoscere Roberta Giachino, una counselor targata E-Skill. Roberta ha concluso il suo percorso a maggio 2022 discutendo un’interessante, quanto sentita, tesi sul sul suo modo di diventare un counselor professionista. Abbiamo chiaccherato con Roberta:ci ha raccontato le difficoltà e le scoperte che ha fatto su di sé durante il suo triennio di studi.

Perfettina…questo è il termine che salta subito in mente quando si incontra Roberta. Una definizione che non vuole avere un’accezione negativa o “fastidiosa”, ma semplicemente una definizione. Roberta Giachino è una professionista: seria, preparata, responsabile e competente. Nel suo lavoro e nello studio, ha sempre agito così: una lavoratrice perfetta, una studentessa perfetta, una compagna piacevole e simpatica. Lezione, contenuti, libri dastudiare e da comprendere: Roberta è sempre arrivata su tutto, sempre pronta, “sul pezzo”. E con un buon grado di autoconsapevolezza sulle proprie competenze. E’ forse per questo che il percorso di counseling si è rivelato per Roberta una sorpresa, un momento in cui essere meno perfetta del solito, in cui permettersi di sbagliare, in cui capire che, forse, si può e si è anche altro. Roberta ha dovuto fare i conti con le sue convinzioni e le sue resistenze: ha dovuto accettarle. Con grande sensibilità, e qualche sofferenza, si è lasciata prendere per mano dai suoi docenti, dalla sua relatrice Tiziana Mazzetti e nel percorso individuale per poter sbocciare come counselor. E con grande generosità ce ne parla in questa intervista.
 

D. Roberta, la tua tesi parla delle proprie resistenze che il Counselor puòincontrare durante un colloquio. Ci racconti come mai hai scelto questo tema?

R. Nel mio viaggio per diventare una professionista, subito mi sono resa conto che niente avrebbe avuto valore se non avessi intrapreso un percorso di consapevolezza di me. Potevano rimanere belle parole allo scopo di “carpire qua e là” cosa potesse voler dire questo concetto, in modo da svolgere “più o meno” la professione. E invece no. Investire sull’ESSERE è attività imprescindibile per aiutare le altre persone, è una responsabilità, ed èun passaggio obbligato per essere un buon professionista. Fu la scuola ad accompagnarmia capire quanto fosse importante questo concetto; quello che ho fatto io è stato “essere disposta ad accogliere” con apertura quanto di me poteva essere migliorato. Ho cominciatoa pulire il mio specchio dalla polvere delle mie illusioni, mi sono vista, e alcune cose sono risultate scomode, perché quando finalmente ti guardi, non è detto che tutto quello che vediti piaccia. Bisogna essere disposti a “smontarsi” e “rimontarsi”. “Come può un Counselor accompagnare il Cliente ad esplorarsi, ad attivarsi, a trasformare quel che desidera trasformare, se prima non ha fatto lui stesso un percorso su di sé, nella sua vita?”

E’ stato il valore che ho dato a questa esperienza che mi ha portato a scrivere la tesi sullemie resistenze. E senza presunzione, potrebbe essere spunto di riflessione per chiunquedesideri diventare Counselor.

D. Nella tua tesi parli molto di te e delle tue resistenze. Qual è la resistenza che hai trovato in te stessa e che ti ha messo più in difficoltà?

R. Potrei scegliere la resistenza al “so stare”, stare ai tempi del Cliente, non anticipare (col rischio di interpretare), rimanere con il Cliente anche quando la mente tende a distrarsi nell’individuare possibili strade. C’è un tempo per tutto, quello dell’ascolto attivo, presente a me stessa e in completa relazione con il mio Cliente, e quello in cui posso mettere assieme le idee; uno non deve oscurare l’altro. Potrebbe sembrare ovvio e facile da farsi maper me era difficile. Era un mio punto di inciampo. Tutti abbiamo i nostri punti di inciampo, l’importante è arrivare a conoscerli. Come ho fatto io? Prima di tutto tramite il percorso personale con la mia psicoterapeuta, che mi ha aiutato a capire come “funzionavo” e ad accogliermi, e mi ha aiutato a capire che quanto portavo in colloquio lo ritrovavo anche nella mia vita. In secondo luogo, ma non meno importante, durante le simulazioni del colloquio di counseling, con i feedback ricevuti sia dal supervisore che dai colleghi (loro vedono ciò che tu non vedi). Non si abbia mai paura di ricevere feedback, sono regali veri!

D. Se dovessi essere un counselor supervisor e un collega in supervisione ti dicesse che ha questa resistenza, come lo supporteresti? R. Gli direi cosa ho osservato e lo inviterei a ragionare sull’impatto che potrebbe avere sul colloquio, lo supporterei con qualche esempio, e infine lo lascerei riflettere. Se c’è una cosa che ho imparato in questi tre anni di corso è che dare consigli non serve a nulla, perché ogni persona funziona a modo suo e ogni situazione è a sé. E’ invece utile stimolare un ragionamento su quanto osservato e sugli impatti delle varie possibilità, con buone domande come ad esempio: “Cosa pensi possa succedere?” “Cosa potresti fare la prossima volta?”. Quando mi sono stati dati dei feedback non mi è mai stato detto come avrei dovuto fare, una ragione ci sarà. Mi sono portata a casa il feedback e poi pensandoci su ho trovato corrispondenza in modi di fare della mia vita che non vedevo. Tornando a cosa farei come counselor supervisor, sicuramente mi accerterei che il collega abbia ben compreso il senso del feedback come strumento di miglioramento e non come giudizio, questo è un passo importante di evoluzione e di crescita per la persona che desidera diventare Counselor, e a voler vedere è utile per ogni persona.

D. Che cosa altro hai imparato in questi 3 anni di percorso?

R. Ho imparato a conoscermi meglio, ho compreso alcuni dei miei schemi mentali e mi sono data il permesso di rileggerli con altre lenti. Ho imparato a dare spazio al mio “percepire” il presente senza proiettarmi nel futuro, ho imparato a stare con quello che c’è cercandone il valore. Ho imparato che ogni persona ha i suoi tempi e i suoi modi, e che ascoltare fino in fondo una persona senza saturare i silenzi, con sincero e autentico desiderio di volerla conoscere, è bello. Ho imparato che la perfezione non esiste, e che accogliere con serenità il mio “non sapere” mi permette di considerare il contributo degli altri come un regalo. La fallibilità umana è un valore nel momento in cui la si considera motore per ripartire con più serenità, libertà e creatività, e senza stress, mettendo a tacere quella parte giudicante che rallenta e fa perdere solo energie. Ma forse la cosa più bella che ho imparato è il valore dell’autenticità, come persona e come professionista. I 3 anni in questa scuola sono stati un vero viaggio alla scoperta di me, come persona e come professionista. Un investimento per la mia vita. Lo rifarei? Sì, lo rifarei.

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