09/02/2023

Tempo di lettura: 4 min

Enrica: accogliere la diversità

Enrica Dasso ha ultimato il suo percorso triennale a dicembre 2022 discutendo una tesi sul Counseling praticato in un centro per rifugiati della Croce Rossa.

Abbiamo incontrato Enrica Dasso una sera di più di 3 anni fa: una sera d’estate che l’haportata dalla Svizzera dritta dritta nella nostra Scuola.

Enrica è precisa e puntuale, quasi maniacale nel suo essere sempre al posto giusto nel modo giusto. Quella sera è arrivata in ritardo…cose che capitano quando si ha un appuntamento, c’è traffico e si viene da lontano. Ma Enrica, ancora oggi, quando parla del suo primo incontro con E-Skill, inizia così: “Sono arrivata in ritardo e Cristina pazientemente mi ha aspettato”. Non se lo perdona. Perché lei è così: ci tiene, ci tiene a fare bene, a fare del bene, a essere brava. Ha lavorato molto Enrica su questo aspetto durante il suo triennio,arrivando anche a lasciar andare qualcosa per il verso in cui vuole andare e non perché “deve” andare come ci si aspetta o come è giusto. Un lavoro non facile per una persona come lei portata naturalmente alla performance perfetta, ai confini molto chiari e netti. Un lavoro che l’ha portata a sperimentarsi in un tirocinio decisamente diverso dove le cose nonsono certe, dove si naviga a vista, dove si ha davanti un futuro che la persona si è immaginata ma che non c’è più, dove le lingue sono diverse e dove non si capisce bene esattamente chi è il pesce fuor d’acqua.

Enrica ha svolto il suo tirocinio presso un centro rifugiati della Croce Rossa di Paradiso, in Svizzera. Un melting pot ricco di storie e sofferenza. Entrare non è stato facile, ma nemmeno rimanerci. Eppure Enrica ha saputo trarre dei grandi insegnamenti: ha sfidato se stessa e i rifugiati, è uscita dagli schemi e ha fatto uscire (anche fisicamente) dagli schemi gli altri. Grazie al Counseling. Ma sentiamo che cosa ci racconta.

D. Enrica tu hai svolto un tirocinio in una realtà decisamente complessa e anche difficile come la Croce Rossa in Svizzera, dove vivi. Che cosa ti ha lasciato questa tua esperienza?

R. Lavoro da tanti anni come amministrativa in un ospedale di Lugano, la città dove vivo. Il mondo della sofferenza lo conosco bene ma ho voluto mettermi alla prova in modo diverso, toccando con mano un’altra realtà. Volevo mettermi a disposizione dei più fragili e rendermi utile. Quando c’è stata la possibilità di poter operare per un’associazione internazionale, sono stata felice di entrare e poter collaborare. Questa collaborazione non è finita con il miotirocinio perché nel frattempo ho fatto i corsi interni e sono diventata ufficialmente volontaria. Posso dire che CRI è diventata la mia seconda casa: nascono relazioni che durano nel tempo e che mi danno energia per andare avanti e operare in questo campo.

D. Hai scritto la tua tesi con l’obiettivo di lasciare indicazioni utili per altri counselor che volessero operare con i migranti. Alla luce della tua esperienza, quali sono le 3 competenze che un counselor deve agire per operare in un contesto simile?

R. Fare counseling in una struttura umanitaria vuol dire spogliarsi completamente dei pregiudizi, essere pronti a incontrare l’altro e avere pazienza. All’inizio nessuno veniva da me, questo può essere frustrante. Ho imparato ad esercitare non solo l’ascolto attivo ma anche quello passivo, e nel tempo, con a disposizione le tecniche di counseling acquisite nel mio percorso di studi e le competenze acquisite sul campo, ho potuto seguire vari migranti. E’ necessario tener conto di attivare la propria creatività. Io non mi sono mai considerata una creativa ma in fondo non mi immaginavo neppure counselor e invece eccomi qui, con migranti che un giorno hanno giocato con i proverbi e scoperto come la saggezza popolare sia trasversale e comune in tutto il mondo.

D. Se dovessi fare un confronto tra la Enrica di adesso e quella di 3 anni fa, quali sono le differenze che noti e che sono da attribuire al percorso di counseling?

R. Tre anni fa non conoscevo questa Enrica, mi sono data la possibilità di sbagliare per crescere e non sentirmi per questo giudicata. Mi sono data tempo, perché il mio cambiamento ha necessitato questo. Ho lasciato ‘decantare’ tutto quello appreso nei 3 annidi scuola e dedicato poi il tempo necessario alla pratica di tirocinio. L’Enrica di oggi si rispetta di più e di sicuro ha imparato ad amarsi, anche se imperfetta e soprattutto perché imperfetta. Un noto studioso di psicologia dice che l’imperfezione è il senso della vita. Penso di aver trovato il mio qui, in questa realtà così complessa ma ricca e piena di colori, di esperienze, di vita.

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