23/05/2018

Tempo di lettura: 6 min

Un’esperienza di tirocinio

Un interessante racconto della prima esperienza di tirocinio di Massimo Pittella, uno deinostri futuri counselor trasformatosi per l’occasione in bibliotecario per la Human Library diFEM.

Il 14 Aprile scorso nello spazio LAC di Lugano si è svolto un interessante evento organizzato da FEM (Fondazione Empatia Milano) per l’Associazione Il Triangolo. L’evento ha richiamato una novantina di “lettori”, che nel corso delle tre ore in cui la Human Library èstata aperta al pubblico hanno potuto consultare, in alcuni casi, anche più di uno dei venti “libri umani” in catalogo, per mezz’ora ciascuno.

Ho partecipato all’iniziativa come “bibliotecario” tirocinante, e dalla prospettiva della miafutura attività di counselor ho trovato interessanti soprattutto due momenti. Il primo è stato l’incontro preparatorio in cui ho potuto dedicarmi alla consultazione in anteprima di alcuni dei libri umani in via di “pubblicazione”, per familiarizzarli con la situazione e restituire loro un primo feedback. Il secondo è stato il momento della valutazione finale collettiva.

Ma cominciamo con lo spiegare che cos’è una Human Library. Si tratta di una tecnologia sociale ideata nel 2000 da alcuni giovani attivisti danesi della nonviolenza per sfidare stereotipi e pregiudizi attraverso un dialogo franco e aperto con persone che portano la loro esperienza diretta di situazioni difficili: storie di bullismo, di malattie mentali, di carcerazione, emarginazione, violenza, ecc., vissute da un lato della barricata, oppure dall’altro.

Si allestisce una vera e propria biblioteca vivente dove i libri da leggere e sfogliare sonoqueste persone stesse che, opportunamente accompagnate e supportate dai “bibliotecari”, raccontano la propria storia e rispondono alle domande dei lettori.

Il lettore che entra nella Human Library ha la possibilità di consultare un catalogo e scegliere quale libro umano “prendere in prestito” per mezz’ora. Un bibliotecario lo fa accomodare davanti al libro umano scelto e il dialogo ha inizio; un dialogo privato, a tu pertu, nel corso del quale anche le domande più difficili sono apprezzate e trovano risposta.

Il tema dell’evento organizzato da FEM è stato “Ti racconto la malattia oncologica” e hacoinvolto 20 libri umani che hanno raccontato il proprio rapporto con la malattia e lasofferenza: pazienti oncologici, famigliari che avevano perduto un congiunto,medici,infermieri, volontari.

Ciò che ho ricevuto in dono dalla mia esperienza di bibliotecario-tirocinante è stata la rara opportunità di assistere dal vivo al potere trasformativo e terapeutico dell’atto autobiografico. La pratica del “farsi” libro umano offre infatti all’individuo la possibilità di (ri)costruire narrativamente la propria identità personale sulla base di uno sforzo interpretativo che rimanda al senso, piuttosto che al non-senso, del proprio esserci (Bruner)e, in questo caso, del proprio patire.

In particolare il tema della malattia interroga radicalmente il soggetto sulla propria “volontàdi significato” e quindi sulla religiosità della propria persona spirituale (Frankl). Ma il potere autopoietico dell’io-narrante è concreto e positivo a prescindere dalla dimensionefrankliana dell’altezza.

Quando, nei Saggi, Montaigne scrive di non avere fatto lui il suo libro più di quanto il suo libro non abbia fatto lui, egli non si sta affatto esprimendo sotto metafora. Né si riferisce alla realizzazione di alcun sovrasignificato trascendente. Ciò che l’autore intende dire è semplicemente che per riuscire a parlare onestamente di sé ha dovuto sforzarsi così tanto nel modellare la rappresentazione narrativa della propria persona, che “il modello – cioè la sua stessa persona – si è rassodato e in qualche modo formato anch’esso.”

Nell’esperienza del libro umano, è precisamente questo io-narrato, trasformato dalla suastessa auto-narrazione, che si presenta incarnato al pubblico. Ma ancora più interessante èciò che può accadere nel corso dei dialoghi.

Durante lo svolgimento dell’evento ho potuto osservare le reazioni e i comportamenti siadei libri che dei lettori.

Le risposte non verbali dei lettori, le domande che azzardavano appena riuscivano a prendere coraggio, le storie di vita di cui dimostravano di essere a loro volta portatori, stimolavano il libro a deviare, modificare, rivedere, aggiungere, rivalutare…insomma a personalizzare il proprio racconto a seconda del lettore a cui era prestato. Era come “fermarsi a riflettere sul senso…” Qualcuno ha parlato di “pezzi di corazza che cadevano” nel corso delle relazioni.

In termini rogersiani si tratta dunque di processi, quello iniziale del “farsi libro” e quello successivo del farsi consultare, in cui può darsi una vera e propria “modificazione costruttiva della personalità”. Mentre dal succedersi di consultazioni sempre diverse può arrivare addirittura ad emergere l’esperienza concreta di come l’immagine di sé e della propria storia non sia mai cosa privata, ma si modelli sempre in funzione delle relazioni sociali Io-Tu alle quali ci apriamo (Buber).

L’altro momento particolarmente interessante che citavo all’inizio è stato quello della valutazione collettiva, avvenuto due settimane dopo l’evento. Il commento di tutti è stato quello di un’esperienza coinvolgente e ricca di scoperte, andata ben oltre le più rosee attese della vigilia sotto più punti di vista. I libri umani hanno dichiarato di avere “più ricevuto che dato”. E l’intero gruppo si è ritrovato più coeso, dotato di un’identità collettiva più chiara e condivisa.

All’indomani dell’apertura al pubblico, i libri si erano subito telefonati per farsi i complimentia vicenda… “Mi sono sentito valorizzato”, ha detto uno di loro (forse anche “considerato”, “visto” e compreso nelle sue istanze esistenziali, aggiungo io). “A me dispiace solo di non essere riuscita a leggere tutti gli altri miei colleghi libri… è possibile avere per iscritto i racconti di tutti?” ha continuato qualcun altro.

Fin qui il racconto dell’esperienza. Ma quando e come ilcounseling può essere utile nell’organizzazione di una Human Library? Personalmente, credo che le fasi in cui sia utile investire di più sulle competenze di counseling siano quella di preparazione dei libri, e quella di elaborazione finale della loro esperienza complessiva.

All’inizio, i soggetti hanno difficoltà a capire come impostare la propria auto-narrazione, cosa raccontare esattamente di sé e quali portati evidenziare per favorire la comprensione empatica da parte degli ascoltatori. Sono anche timorosi di sbagliare, o di non risultare abbastanza interessanti. Per questo sono loro i primi a chiedere di potersi confrontare con professionisti in grado di assisterli nell’organizzazione delle loro strutture narrative.

Inoltre, i testimoni delle esperienze più drammatiche hanno spesso difficoltà a relazionarsicon i propri sentimenti, possono sperimentare un certo grado di distacco e disaccordointerno da cui possono sgorgare racconti nebulosi o intellettualizzati.

E il counselor, che viene espressamente formato a offrire un rispettoso spazio di ascolto e diriflessione nel quale esplorare a fondo le difficoltà della condizione personale e ottenere piùchiarezza del proprio vissuto (Rollo May), sembrerebbe allora essere una tra le figure professionali più indicate ad aiutare il libro umano nell’esplorazione della sua “esperienza attuale soggettiva” (Gendlin), e nel dotarsi di una narrativa empatica, ricca di spessore umano e di panorami autentici.

Ma anche alla fine, quando dopo essere stati consultati i libri si rendono conto di “avere ricevuto”, di avere attraversato un processo di scoperta, di trasformazione e di crescita, il counselor può essere ancora lì, accanto a loro, per aiutarli a fissare le loro acquisizioni mettendo a fuoco il significato esistenziale dell’esperienza avuta e i “costrutti personali” (Kelly) che dominano la rappresentazione e comunicazione di sé.

In conclusione, Human Library e Counseling sembrano davvero potersi integrare e potenziare a vicenda. I libri umani riuscirebbero ad avanzare con maggiore sicurezza nel processo di modificazione della personalità, imparando a vivere con più responsabilità e consapevolezza relazioni fluide con gli altri e con l’ambiente. E i lettori riuscirebbero ad apprezzare meglio la dimensione umana delle testimonianze di vita portate dai libri umani, davanti alle quali gli stereotipi e i pregiudizi cederebbero più facilmente il passo alla meraviglia della comprensione empatica e dell’unicità di ognuno.

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