14/02/2020

Tempo di lettura: 4 min

Le 5 convinzioni che possono limitare un Counselor

State studiando per diventare Counselor, o magari siete alla fine del percorso e doveteprendere una decisione: mi butto o no in questa professione? Ma ecco che fanno capolino i primi dubbi. Che vi possono anche bloccare. Ne vediamo qualcuno insieme.

Quali possono essere quei dubbi o quelle vocine che si insinuano in voi e che vi impediscono di lanciarvi nella professione di Counselor? Magari non ne avete nemmeno uno o forse mille. Ve ne presentiamo qualcuno, secondo noi tra i più comuni.

1. La sindrome del “devo esercitarmi ancora un po’ “. Avete studiato 3 anni, fatto 150 ore di tirocinio, esercitazioni in aula ma vi sembra di non essere ancora capace e di avere bisogno di qualche pratica in più. Risultato? Alla ricerca di pratica, non ne fate. È questo il paradosso…e meno vi esercitate, più perdete ciò che avete imparato. Tanto vale lanciarsi. Non farete colloqui perfetti, da manuale, ma ricordate: il vostro cliente non lo sa, ha bisognosolo di essere ascoltato.

2. “Sono un Counselor, ho gli psicologi contro…meglio non fare niente”. Che avete gli psicologi contro, o almeno una parte di essi, lo sapete da sempre. Se avete frequentato unascuola seria, lo sapete che la nostra professione non è legalmente normata né abilitata e che “patisce” attacchi periodici da più parti. Se avete superato questo scoglio al momento dell’iscrizione decidendo di investire 3 anni del vostro tempo e diverse migliaia di euro, che cosa vi frena adesso che è arrivato il momento di fare un ritorno sull’investimento? Sapete benissimo come muovervi e quali sono i vostri ambiti di competenza: li avete imparati, vi siete esercitati e sapete pure che c’è una legge (la n°4/2013 che norma le libere professioni) che comunque vi regola e vi guida. Qual è il reale motivo che vi blocca? Gli psicologi fanno il loro lavoro e continueranno a farlo, perché voi non potete fare il vostro?

3. “Ogni volta che faccio un colloquio mi sembra di non combinare niente, di non venirne a capo”. Quante volte vi potrete essere sentiti inconcludente nelle sessioni con il cliente… Succede no? Si ascolta, si entra in empatia, si sospende il giudizio ma permane la sensazione di non andare da nessuna parte, di non aiutare il cliente. Ma chiedetevi, qual è lo scopo principale di una relazione d’aiuto? Supportare e ascoltare il cliente. E il vostro scopo o il vostro obiettivo come Counselor qual è? Che valore date VOI all’ascolto che prestate? Forse ad essere troppo concentrati sulla performance siete solo voi e non il vostrocliente. Forse c’è una parte di voi che pensa che ascoltare sia semplice e lo possa fare chiunque. Ma se il vostro cliente si assume la responsabilità di pagare un percorso di crescita personale e continua a rispettare il contratto…beh, forse non siete così inutile.

4. “Sono da solo e non so come muovermi, come faccio a farmi conoscere?”. Vero, quando si sceglie la libera professione si può essere da soli, ma lo siete anche nel momento in cui fate un colloquio di selezione in azienda: siete di fronte al potenziale cliente anche lì. La vera domanda è: “sono disposto a correre il rischio economico di una scelta come questa?”.”A rinunciare a entrate sicure e ad essere costantemente impegnato nell’inventarmi cose nuove per guadagnarmi delle entrate?”. Il fatto che non vi conosca nessuno non è importante: quante volte siete andati ad un incontro dove non conoscevate nessuno? Per non parlare di quante persone avete incontrato che non sapevano chi eravate ma vi hanno dato fiducia. Lavorate sul vostro personal brand, comunicate, uscite allo scoperto: che siatecounselor, manager, dipendente o un impiegato…dovete farvi conoscere. Comunque.

5. “Il Counseling non lo conosce nessuno e che frustrazione quando mi sento dire…ah sei una specie di psicologo!”. E’ vero che il counseling non è ancora così diffuso, ma se avete spiegato la vostra professione e la vostra attività e il feedback che ricevete è “sei una specie di psicologo”, forse avete sbagliato qualcosa. Sì, perché non lo siete, non lo sarete psicologo e non lo volete/potete fare: e sicuramente la vostra scuola vi avrà “bombardato” dimessaggi di questo tipo. E quindi? Chiedetevi…”ma come mi presento”? Uso frasi fatte, definizioni da manuale o spiego realmente che cosa faccio e che cosa offro alle persone? Le professioni della relazione d’aiuto sono diverse: ci sono l’infermiere e il medico, l’operatore socio-sanitario, l’educatore, l’insegnante, il pedagogista, l’avvocato, il mediatore familiare…ma perché loro non si sentono dire “ah sei una specie di psicologo”? Noi crediamo sia arrivato il momento di riflettere su questo. Potreste rispondere: perché quelle sono professioni riconosciute e la gente le conosce, le ha incontrate, ha chiaro il concetto intesta! Giusto! Ma a chi spetta farsi conoscere e riconoscere? Vogliamo sempre aspettare un”bollino”, una certificazione per poter lavorare e far conoscere il nostro lavoro? Il giardiniere non è riconosciuto e nemmeno il pasticcere o il naturopata…ma tutti sanno chi sono. Forse è arrivato il momento di parlare di che cosa si fa, dell’utilità, del processo e delle abilità del counseling. Vogliamo allontanarci (giustamente) dagli psicologi e continuiamo a far parlare di loro!

Ci fermiamo qui, ma potremmo anche andare avanti. Sicuramente non sono tutte qui leconvinzioni limitanti, magari voi ne avete altre. Vi va di condividerle inserendo un commentoal post? Parlandone potremmo riuscire a superarle.

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